giovedì 13 giugno 2013

io OS sette riflessioni.

È un po' troppo piatto; é brutalmente funzionalista; addio a molti vecchi automatismi da polpastrello, già parecchio spartani; tutto quel bianco è dispersivo; le icone sembrano disegnate nel sonno da un ragazzino cinese.
Lo shock mostrato dal web è più che comprensibile, osservando a mente fredda la settima iterazione del sistema operativo mobile targato Mela. Ottanta persone su cento di quelle che parlano, me compreso, non ci hanno ancora messo sopra le mani.
Ciò nonostante, siamo tutti d'accordo che si tratta della più potente innovazione dai tempi del primo iPhone. Non solo per la virata grafica e l'innesto delle nuove funzioni.
Per cominciare. Apple ha tanto l'aria di aver dato alle fiamme lo scheumorfismo con un impeto da ripudio del padre. Potrebbe ben essere, ed anzi non dubito, che la ragazza sia cresciuta abbastanza da non rimpiangere le intemerate di Steve, il suo genio, la sua visione. Che insomma, stia andando oltre con le sue gambe. Ma, c'è un ma. Per quel che vedo dagli screenshots, molte app appaiono sciatte, vacue, spoglie più che mimimaliste. Scott Forstall sarà anche stato un pezzo di stronzo nucleare ai ferri corti con Tim Cook (pagando con il licenziamento); ma fare tabula rasa così, mi pare poco elegante. Mica per Apple: dico per noi.
iOS 7 mi pare tutto fuorché elegante. Sembra un tema da jailbreak, e manco dei migliori. 
Davvero mi auguro che la release finale abbia tutt'altra dignità, si può fare senza rivoltare l'aspetto di quel che s'è visto fin qui (vedi: http://thenextweb.com/apple/2013/06/12/why-does-the-design-of-ios-7-look-so-different/). 
Ho finito di fare la punta agli spilli perché, in definitiva, questa cosa nuova mi piace. Andava fatta in qualche modo. Non è perfetta ma è viva. Potremmo comunque trovarci a novembre con il 40% del sistema diverso da ora.
Con un minimo di proiezione al futuro, mal che vada torniamo nella riserva indiana come negli anni '90 quando i Mac erano oggetti misteriosi. A me piaceva anche quello. 

giovedì 31 gennaio 2013

Della tossicità dell'etere

I presupposti argomentativi di questo post sono due. Il primo, quello che mi sta sgretolando l'anima e la salute: sono sostanzialmente disoccupato. Non per l'Istat o il Centro per l'impiego, no, per loro il fatto che un editore mi paghi quei pochi pezzi che scrivo 12 euro ogni tre mesi, significa che sto lavorando. Il secondo: ascolto molto la radio. Un disoccupato che ascolta la radio, di questi tempi, se la passa grigissima.
Di certo c'è che una voce ascoltata può bucare a tradimento la membrana anti mondo della quale molti, forse tutti, fanno uso. Le emittenti radio d'informazione quello fanno, parlano, parlano, e parlano. Diffondono la voce di esperti, professori, presidenti (un 'presidente' si nega forse a qualcuno?), parlamentari, imprenditori, cittadini normali, cittadini matti.
L'ammiraglia di Mamma Rai è piena di gente in gamba; ma vale niente quando arriva il solito prof a dirti che «la laurea non conta più nulla, le famiglie lo stanno capendo e le iscrizioni sono in calo». «Eh già perché — continuava il cattedratico — meglio mettersi a cercare lavoro subito piuttosto che maturare un titolo che dopo anni, comunque non ti servirà per lavorare. Le aziende non valorizzano»..eccc...bla, bla, bla.
Ora. Tutte queste preziosissime informazioni, sparpagliate nell'etere, a chi giovano? Chi vuole lavorare non intende continuamente rimestare nel marasma dei suoi pensieri. Per veri che siano questi dati, ascoltarli deprime. È una somministrazione omeopatica di veleno. Di stanchezza. Di paura. Mentre guidavo, sovrapponendo mentalmente la mia situazione, ho avvertito un bisogno lacrimevole di andare a letto.
Fungono forse di ammonimento alle aziende? Ai politici? Siamo seri. Io non voglio ascoltare solo di festini e barzellette, e mai mi augurerei di vivere in un consesso che dimentica i fatti e tace le notizie; ma nemmeno posso sopportare, a tre mesi dai trent'anni, di convincermi che non è tempo per me e le speranze che porto nel cuore.

Daniele

sabato 2 giugno 2012

GenerAzioni.

Mangiare bene per me è un piacere. Al punto che distinguerlo dalla 'dipendenza', specie ora che la vita butta male, nemmeno conviene.
Ancora non è il caso di fare la fila alla Caritas, per cui posso discettare di quel che scelgo, e lamentarmi del brodo grasso.
Per l'appunto. Cibarsi alla emiliana dà soddisfazioni anche per chi di varianti mediterranee ne ha provate tante; ma menù alla mano, sono sicuro che sia ben poco salutare. La scoperta dell'acqua calda?
Se parole del genere apparissero sul mio caro Carlino, si intaserebbero in un baleno i telefoni della redazione.
Prendiamo il trionfale ordine di stamane (per tre) alla Sagra della Lasagna dell'Arci San Lazzaro: tagliatelle al ragù, lasagne, salsiccia e patate, crescentine.
Con sollievo dei mio metabolismo non mangio sempre così; ma rispetto ai dettami del mangiar sano, siamo un bel pezzo fuori strada.
Fibre? Zero, la fonte più ricca è la sfoglia verde. Proteine 'rosse', a bomba. Carboidrati a iosa. Vitamine dove, nel vino? Fortuna che c'è il resveratrolo! Siamo a posto.
Frutta? Verdura? Pesce? Dove stanno. E per finire caffè, tanto per stordire il cervello con la caffeina e complicare il rimbalzo glicemico.
Poi ci lamentiamo delle valige che portiamo sulla pancia.
A questo punto, spunta uno dei paradossi del benessere, cioè che per stare bene devi già stare bene e se vuoi mangiar meglio fuori casa devi svaligiare una banca.
Vorrei che esistessero distributori automatici di frutta e verdura porzionati, a prezzo decente, e non ci vergognassimo di camminare sgranocchiando. Lo hanno capito quelli di Zazie a Bologna: due boutiques del bio da passeggio che vibrano di salute. Sfortunatamente, con lauti ricarichi.
Sarebbe molto bello se queste che sembrano amenità finissero nell'agenda di un governo. Scommetto sei euro (al pezzo) che avrebbe più senso di molte altre 'priorità'.
Partire dai bambini finchè, sfracellandogli i coglioni per generazioni, mele e broccoli diventino la regola. Il sistema previdenziale ne soffrirebbe perché la gente morirebbe meno, ma da altre parti risparmieremmo.
Penso che se c'è una chance di farcela quaggiù in Europa, prima i 20enni devono fare la rivoluzione per sgretolare le baronie dei 50enni; poi bisogna lavorare sui neonati, idolatrarli alla scandinava. Un impegno generazionale totale. Come al solito ho divagato.
Nel frattempo, continuo a cullarmi nel mio dolore tirato a mano e con la sfoglia ruvida.

Daniele

venerdì 11 maggio 2012

Non è che io stia proprio benissimo.

Oh, il blog. Esistono ancora? Mi risulta che siano i Tumblr, con le loro frequenti pornaggini, il grafenomeno del momento. Beh qui è stato tutto chiuso finché ho dovuto scrivere tante parole al giorno per il giornale. E poi me ne sono francamente scordato.
Lo ripiglio adesso; come al solito, sparando nel web le mie suggestioni sterili e non. Del resto serve a questo: fare informazione è illogico, dei fatti miei non interessa manco a me e quindi rimane solo per...per?

Ero nella piadineria totale in viale Silvani, parente di quella in via Borgonuovo e dell'altra al Pratello.
Al muro un cartello: cercasi ragazzo/a di bell'aspetto per consegne a domicilio.
Io ero rimasto che bastava un motorino per portare pizze. Evidentemente il blasone pregiato del locale deve accompagnarsi ad un bel volto quando si va fuori. Ci sta.
Peró: è vero o no che il mercato del lavoro non da ora sta generando una spirale di pretese eccessive, su ogni fronte. Chi si laurea dice: eh no, a 'sto punto quello non lo faccio. Chi cerca chiede: sono tutti laureati, ne serve uno anche a me.
Le istanze non convergono. E allora? Niente, era per dire. E Montagnani che c'entra. Niente, così. Ah ecco: Montagnani era bello, poteva consegnare piade. E poi magari si fermava anche a casa. Ah!

venerdì 7 ottobre 2011

Non so come ringraziarti.

Ho rifiutato l'idea finché, in redazione, sei apparso dentro un televisore vestito da laureando, a Stanford. Ho detto «Cazzo!», sferrando un pugno sul primo ripiano a portata, e si sono voltati tutti. In un ambiente dove i «cazzo» volano come particelle di polvere.
L'intero pianeta è felice di aver partecipato al tuo genio. Non so come ringraziarti.

mercoledì 1 giugno 2011

Per fortuna non mi ricordo niente.

Un luogo della città mi ha indotto una riflessione. Riguarda una Bologna che i trentenni di oggi non possono ricordare, ma soltanto immaginare nei racconti da chi è orgoglioso di averla vissuta. Fioriva mentre a loro sbocciavano solo i denti da latte.
La stagione delle baracchine è partita da un pezzo. A maggio l'atmosfera è già stabilmente rassicurante, e la sera non c'è angolo di verde, parcheggio, area depressa che non sfoggi la sua bella 'baracca' dei gelati (sulla mania felsinea dei gelati mi propongo di tornare in futuro).
In Piazza Trento e Trieste, due baracchine si traguardano da una parte all'altra del giardino come avanguardie in una trincea. Da un lato il soldato più attempato è Balanzone, solida gestione familiare avanti con gli anni. Alle pareti i cartelloni scritti con tenera grafia da nonno annunciano genuinità: «Gelati con frutta fresca», «Granita di limoni spremuti, questa è buona» e ancora, «Sganapino e Balanzone in foto»; mentre al bancone una coppia gentile-che non si fa problemi di servire cucchiaini diversi tra loro-tiene lucide le boiserie col passare delle epoche e ti avverte di «mangiare adagio perché è freddissima».
Invece dall'altro lato della siepe, a ridosso della fontana stellata invariabilmente spenta, campeggia l'insegna dell'Agnese delle cocomere. Il nome è quello di un posto mitico, la baracca di quartiere per eccellenza. Anche loro sono in piazza da tempo immemore, ma a guardarli oggi sembrano più simili al locale standard riccionese che non al rifugio del biassanot d'antan.
Va bene così perché l'Agnese è costantemente murata di cinni, mentre il Balanzone resiste con gli aficionados. Gli studenti in ciabatte col libro di analisi si affidano alla bonomia del duttoùr dei gelati, quelli in Golf e golfino si siedono sotto i faretti alogeni della baracchina hi-tech.
Questo incredibile angolo di Bologna mette a confronto quel sapore di provincia ormai perduto, memoria di una qualità di vita stellare sotto le Due Torri, con l'obbligo della modernità.
Per conto mio se portassi un amico a fare un giro saprei per certo quale parte di piazza Trento e Trieste scegliere per prima. Poi però anche di là.

dp

martedì 22 febbraio 2011

Amici Miei, abbiate pazienza.

Apprendo non senza sgomento, che il prossimo 16 marzo esce nelle sale cinematografiche un philm chiamato così: "Amici miei - Come tutto ebbe inizio".
Andiamo con ordine e, possibilmente, con calma.


Il regista (manco a dirlo) Neri Parenti, sposta l'orologio narrativo del filmissimo di culto "Amici Miei" sulla Firenze medicea del '400. Sostituire Perozzi, Sassaroli, Mascetti, Necchi e Melandri con Duccio, Cecco, Jacopo, Manfredo e Filippo pare, a prima vista, operazione peregrina ma nasconde buon senso. Infatti un prequel o sequel interpretato da diversi attori negli stessi panni sarebbe stato, per chiunque avesse a cuore l'originale di Monicelli, vagamente immorale. Perciò sdegnato da molti. Non proprio l'ideale per uno spettacolo che deve fare soldi.


Invece utilizzare la stessa cifra goliardica con altre epoche e nomi, preservando lo spirito di Firenze, è già idea più accettabile. Spezza la continuità e si fa digerire meglio dal fan storico.
Qui però si innesta il problema:
mutatis mutandis, Monicelli diventa Neri Parenti; i mostri sacri Philippe Noiret, Adolfo Celi, Ugo Tognazzi, Duilio del Prete, Gastone Moschin di ieri sono i seguenti di oggi: Giorgio Panariello. Paolo Hendel. Massimo Ceccherini (la sua fortuna è essere toscano). Christian De Sica. Michele Placido. Massimo Ghini.


Lo sgomento si spiega da solo a questo punto.


pasda

lunedì 6 dicembre 2010

Dicono che il digitale terrestre...



...abbia alzato la qualità della televisione in Italia.
Sono un po' pretestuoso lo ammetto, perchè c'è tanta buona programmazione, ma in questo caso il nuovo Rai Movie ha fatto più che altro volume.
Sogno di trovarmi a Central Park e fare come lo "Scugnizzo in America" del video, una perla rara.
Poi dici che opinione hanno di noi all'estero.


dp

Introducing:

Introducing:
The Porta-Fish (Bring-o-fish)